Sembra una sera come tante, di quelle vissute ogni weekend. Clima non troppo freddo, borsone in spalla e pronti per un'altra avventura. L'orologio scandisce lento lo scorrere dei secondi, il cuore sembra seguirlo con un ritmo pacato e sereno. L'incontro è puntuale come sempre, il saluto affettuoso ed energico, le chiacchiere sgorgano a fiumi, il caffè è un quasi un rito scaramantico. L'arena è vuota, solo qualche addetto ai lavori. Su una panca c'è chi scrive freneticamente, chi si districa tra maglie e pantaloncini. Un uomo tira a lucido il parquet. Il giro di campo è d'obbligo, le parole cominciano a ruotare attorno ad un unico tema, il confronto fa salire la
concentrazione. Sguardo all'orologio, tutto in perfetto orario.
Pantaloncino, maglia, calzettoni, scarpe e di nuovo in campo. Gli spalti cominciano a gremirsi, ma sul rettangolo di gioco, nonostante la musica assordante, tutti sono concentrati nel preparare il corpo ad affrontare al meglio l'evento. Mobilità, skip, scatti, stretching. Ora anche i muscoli sono pronti. Negli spogliatoi scorrono via veloci nomi, numeri e facce. Gli sguardi sono decisi, sicuri, vigili. Una battuta stempera per un attimo la tensione.
Si accendono i riflettori, le gambe scalpitano, gli occhi brillano, l'adrenalina sale, tutti i pensieri sono svaniti, la concentrazione è al massimo, la monetina tra le dita, i cartellini al solito posto, il pallone sul palmo. La folla ci accoglie, i saluti di rito, le strette di mano, la monetina volteggia, le reti sono in perfette condizioni, tutti sono posizionati, un cenno d'intesa, il fischio d'inizio e... Mi ritrovo nel letto. L'orologio segna le 7.12. La testa si adagia sul cuscino e un sorriso fa capolino sul viso ancora assonnato. Questo sogno stava cominciando a piacermi. Chissà come sarebbe andato a finire.

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